Un’attenta lettura delle fiabe consente di selezionare racconti tradizionali che possono servirci per aiutare bambini e ragazzi a sviluppare il senso critico: la ricerca nella tradizione può svelare antidoti al conservatorismo culturale e di conseguenza all’ingiustizia sociale.
E per l’adulto che ama leggere ad alta voce, le fiabe rappresentano una delle esperienze narrative più entusiasmanti.
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«LA PRIMA SPADA E L’ULTIMA SCOPA»
(Fiabe italiane, Italo Calvino, Mondadori 1993, vol. II, p. 625, fiaba numero 124)
Re, reucci, principi, cavalieri, giovani e meno giovani, belli e a volte bruttini, se non ricchi un po’ straccioni, comunque sempre eroi. E sempre maschi.
O quasi.
La tradizione delle fiabe sollecita la narrazione del presente e la visione sul futuro, e nel frattempo, all’interno di un mare boscoso di personaggi e immagini stereotipati, ci offre punteruoli fiabeschi per abbattere gli stereotipi stessi.
Ecco allora La prima spada e l’ultima scopa, di origine napoletana, in cui non solo a vincere la scommessa è una femmina, ma la ragazza è persino l’ultima di sette sorelle, e sconfiggerà il primo di sette fratelli.
È la lotta arcana del supposto debole contro l’apparente forte, e in questa fiaba ciò avviene almeno in duplice forma: nel genere e nella classe sociale. La protagonista – nello stereotipo – è debole non solo in quanto donna nei confronti del ragazzo (entrambi sono figli di mercanti), ma è debole anche verso la ricchezza di un altro personaggio maschile: il principe.
È una «drastica divisione dei viventi in re e poveri», scrive Calvino nell’Introduzione alle Fiabe italiane (p. XV, Mondadori 1993): una divisione tra forti e deboli (presunti) che trova nelle fiabe una «parità sostanziale», spesso raggiunta dal personaggio in apparenza svantaggiato attraverso l’arma più micidiale: l’astuta intelligenza.
Tant’è che i due rappresentanti maschili, in questa fiaba, non fanno certo una bella figura.
Con la medesima intelligenza, i bambini, attraverso il dialogo e l’attività didattica cooperativa, valuteranno il messaggio tradizionale proposto dalle fiabe: una lettura che si avvolge di bellezza per il piacere puro del leggere, e che al contempo può innovare stagnanti valori, costruirne di nuovi, oppure – come in questo caso – trovare nella tradizione narrativa assonanze contemporanee con la parità di genere e la disuguaglianza.
Le fiabe – coinvolgendo le emozioni dell’io che ascolta all’interno di un gruppo – offrono così un «senso dell’esperienza educativa», come da Indicazioni nazionali: «La scuola propone situazioni e contesti in cui gli alunni riflettono per capire il mondo e se stessi, […] trovano stimoli per sviluppare il pensiero analitico e critico» (2012, p. 21).
La tradizione delle fiabe, con il fascino del suo immaginario, offre situazioni e contesti per calzare le scarpe di altre vite, per interrogarsi su sé stessi e gli altri; sul mondo di ieri, di oggi e di domani.
Questa magia ammanta la stessa professione dell’insegnante che presta voce all’incantesimo: «Le ore di raccoglimento più belle […]», scrisse Giuseppe Lombardo Radice, «sono non solo proficue ore di lettura espressiva “ascoltata”, che va oltre ogni interesse scolastico, ma anche di incoraggiamento e preparazione alla lettura personale e libera, fuori di scuola. Sono il dono più grande che un educatore possa fare; quello del gusto di leggere»1.