La scuola italiana non rispetta la Convenzione Onu sui diritti dei bambini, e tanto meno le Indicazioni nazionali stabilite dallo Stato stesso. Questo è in sostanza il grido d’accusa di una madre finlandese, che in una lettera aperta ha spiegato di fuggire dall’Italia – dove con la sua famiglia aveva deciso di risiedere – dopo appena due mesi di vita scolastica dei figli.
Così questa madre, che chiede «qual è la pedagogia degli insegnanti?», induce a porsi ulteriori domande: com’è applicata la libertà d’insegnamento sancita dalla Costituzione? Se la formazione dei docenti è buona, può davvero essere messa in pratica nei contesti scolastici? La selezione degli insegnanti risponde ai bisogni profondi e concreti dell’educazione? Per quanto tempo ancora accetteremo che (anche) la scuola sopravviva con insufficienti risorse e instabilità (un docente su quattro è precario)?
Le parole di Elin Mattsson – una pittrice che con la famiglia ha conosciuto scuole in diversi Paesi europei – sono uno sfogo sbalordito, importante perché la donna, con il suo occhio esterno, punta lo sguardo su alcuni nodi mai sciolti della scuola italiana, i medesimi che da decenni sollevano pedagogisti e associazioni di insegnanti e genitori.
Per la madre finlandese non è accettabile che sugli allievi ricadano le urla e lo sguardo «sprezzante» degli insegnanti; che i bambini non si possano muovere dal banco durante le lezioni né beneficiare di frequenti pause; che essi non possano apprendere con l’«aria fresca» dell’ambiente esterno e che le scuole siano circondate dal «caos totale del traffico». E con sintesi limpida, Mattsson definisce «povero» il nostro sistema scolastico. Dunque, via da qui.
La lettera è un’occasione per riflettere sul fatto che nella scuola permanga in linea generale l’eredità della riforma di Giovanni Gentile del 1923.