Spesso è facile – e giusto – pensare «piove, governo ladro», come i mercanti che entravano nei Comuni con le merci bagnate, dunque più pesanti, e per questo dovevano pagare maggiori dazi.
Tuttavia basta uno sguardo su quanto deciso dalle università milanesi riguardo la presenza o meno agli esami di settembre – l’ultima sessione dell’a.a. 2020/21 – per comprendere che la confusione è forse nella genetica di questo Paese, non solo del governo di turno.
Iniziamo dall’università che frequento io da lavoratore, la Milano-Bicocca: gli esami di settembre sono in presenza, tranne per i residenti fuori Regione o in provincia di Mantova e Sondrio (chissà perché loro sì e quelli come me no: io per arrivare in Bicocca devo prendere due treni o il treno e la metro).
Anche per la Statale, gli esami sono in presenza.
Da buona moderata, la Cattolica invece sta di qua e di là, con esami sia in presenza sia a distanza.
E…rullo di tamburi…gli esami della Bocconi e dello Iulm si manterranno solo a distanza!
Ora, ma dico io, possibile che una questione che riguarda tutti – tutti, perché gli studenti prendono mezzi e poi giustamente vanno in giro, escono la sera, incontrano amici e parenti… – debba essere affrontata in modo così diverso dalle università?
Svogliamo esami a distanza da un anno e mezzo: siccome la pandemia non è acqua passata e non è ancora chiaro quanto i vaccinati con due dosi (come me) possano essere veicolo di infezione, sarebbe stato insopportabile prorogare di un altro mese gli esami da remoto, per prevenzione?
Lo scorso ottobre in Bicocca avevamo iniziato i laboratori in presenza. Con una mail avevo manifestato perplessità al mio dipartimento e avevo ricevuto una cortese risposta di stupore per i miei dubbi, poiché – così come le decisioni di oggi – quanto stabilito dalle università era consentito dai decreti del governo e le associazioni studentesche non avevano espresso alcun dubbio; dopo il primo incontro del mio laboratorio, però, le università sono state chiuse per la crescita dei contagi nel Paese. Morale, per andare a un cavolo di laboratorio che tanto con le precauzioni necessarie aveva ben poco valore didattico in presenza, ho rischiato di contagiarmi (ripeto: un viaggio di due treni o il treno e la metro).
E oggi, possiamo avere la certezza di un autunno tranquillo?
Se neanche l’università adotta uno sguardo lungo, al di là di quanto stabilito dal governo, non mi stupisco che l’Italia in generale fallisca sulla prevenzione (salute, tutela del lavoro, dell’ambiente, degli emarginati…).
Da insegnante, so quanto la relazione sia fondamentale nel processo di insegnamento-apprendimento: senza di una non vi è l’altro. Proprio per questo a mio avviso bisognerebbe dare la precedenza alle lezioni in presenza che inizieranno ad ottobre, e non rischiare di aumentare la circolazione del virus con gli esami di settembre e migliaia di persone che si muovono solo per un colloquio di 20 minuti o una prova scritta di 2 ore al massimo.
Come spiega Gianni Canova, rettore dello Iulm, in un video-messaggio agli studenti, «dovendo decidere se garantire la ripresa della didattica in presenza o gli esami in presenza, abbiamo deciso di puntare sulla didattica».
Se poi, siccome la scuola deve essere inclusiva, vi fossero studenti con particolari difficoltà negli esami da remoto e si volesse infondere loro serenità per l’ultima sessione di esami dell’anno, si potrebbe offrire loro la possibilità di segnalarlo ed organizzare turni in presenza.
E invece no, care Bicocca e Statale, e Cattolica un po’ e un po’. Facciamo come se nulla fosse, rischiamo con esami in presenza per una sola sessione, dopo un anno e mezzo che li sosteniamo a distanza.
Tanto, se poi dobbiamo tornare a chiuderci in casa, in inverno al calduccio si sta bene, no? E pace per chi ha perso metà o tutto lo stipendio a causa della pandemia, e per l’importanza della relazione nel processo di insegnamento-apprendimento.