Nel mese di dicembre gli insegnanti, a vedere l’importo della tredicesima aggiunto allo stipendio consueto, pensano che se, non diciamo proprio tutta quella somma, ma diciamo a sfiorarla, essa fosse la normale mensilità, beh allora qualche grosso problema della scuola si inizierebbe a risolvere: uno stipendio corrispondente al ruolo sociale svolto dagli insegnanti obbligherebbe il sistema ad una seria selezione dei docenti, perché la professione diventerebbe ambita e tra tanti candidati emergerebbero da severi esami e colloqui solo i più preparati dal punto di vista pedagogico, didattico e personale (cioè: puoi essere il più preparato nei contenuti e nel metodo, ma se non sorridi manco all’apparizione di un arcobaleno, o se soffri di qualche disturbo psico-patologico, è meglio non lavorare con bambini e ragazzi!) .
Se gli stipendi degli insegnanti italiani non fossero al di sotto della media Ocse e ai minimi in Europa, allora anche le famiglie porterebbero più rispetto agli insegnanti e alla scuola tutta, poiché gli allievi andrebbero in classe più volentieri grazie alla maggior preparazione dei docenti, e perché questi ultimi – forti della propria competenza – esigerebbero dallo Stato, ad esempio, edifici idonei a garantire la sicurezza di studenti e lavoratori, e con spazi maggiori e più adeguati per accogliere le diversità che le scuole ospitano (altrimenti, come spesso accade, i «Bisogni Educativi Speciali» degli studenti sono mere sigle che sprecano carta e tempo).
Per gli edifici scolastici, che accolgono il futuro, dovrebbe valere ciò che Gino Strada chiese a Renzo Piano per progettare un ospedale di Emergency in Uganda: doveva essere «scandalosamente bello».
Dopo tali elucubrazioni, che cosa pensa un insegnante, per non giungere a chiedersi «ma chi me lo fa fare?».
Penso a ciò che accade a scuola nelle relazioni con gli allievi e che in denaro non può essere quantificato.
Ad esempio, io penso alle risate che i bambini mi fan fare; non per essere pedante, ma i nostri stipendi dovrebbero essere più alti solo per la fatica che facciamo a trattenere scoppi di risa: ai bambini, per darsi a una quasi universale incontrollata ilare baldoria, basta un labbro del maestro che sfrigola tra i denti sotto i baffi, figuriamoci se gli scoppiasse fragorosa una risata…
Allora condivido qualche episodio accadutomi nell’ultimo periodo (i nomi dei bambini, come sempre, sono di fantasia). Giurin giuretta: tutta roba vera.
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«Bambini! Lunedì vi porto il giornale, ci sarà un inserto per voi!».
«Ma che schifo!».
«Andrea! Che cosa dici?».
«Eh ma insomma, che schifo, un insetto!»
(A scuola le parole nuove si scoprono anche così).
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«Maestro, domani pomeriggio vieni a giocare a casa mia?»
«Sentiamo un po’, e a che cosa mi faresti giocare?»
«Alle bambole».
«Ti ringrazio per l’invito, ma lo sai che non posso: anche quando al pomeriggio non c’è scuola, noi insegnanti lavoriamo».
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«Maestro, ho ripassato con mio papà la presentazione in inglese per il progetto eTwinning, ma si è arrabbiato perché non mi ricordavo come si dice otto, guarda, a furia di picchiarci sopra con la penna mi ha pure bucato il foglio».
«Ma tuo papà l’inglese lo conosce bene?».
«Sì…cioè…un po’…insomma, così così».
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In fila in palestra, pronti per incamminarci verso la classe.
Un bambino erutta.
Io lo richiamo: «Andrea!» (sì, sempre lui, quello dell’insetto).
Il bambino, forse notando lo sfrigolio del mio labbro allegro nel mezzo d’una fila umana d’ilarità, risponde, tra il vagamente imbarazzato e gli occhi ridenti:
«Scusa…mi è scappato…ma che cosa dovevo fare, correre là in fondo?», e con il braccio indica l’estremo opposto della palestra.
Trattenendo uno scoppio di risa, chiedo:
«Bambini, voi sapete chi è Fantozzi?».
«Sì».
«Ecco, la domanda di Andrea mi ha ricordato quando Fantozzi va in campeggio con il suo amico ragioniere Filini…ma che cosa succede non ve lo racconto, prima o poi ve lo farò vedere».
E per chi non si ricordasse la corsa di Fantozzi, eccola qui!